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 / Approfondimenti  / Adolescence: tra schermo e realtà – cosa ci insegna la serie Netflix sul ruolo dei genitori

In questi giorni la serie Adolescence, distribuita da Netflix, è in cima alla classifica delle più viste. Oltre che un cast di attori eccezionali e una narrazione autentica, offre spunti per riflettere sul ruolo dei genitori oggi, in un mondo dove le sfide educative si intrecciano con nuove dinamiche sociali e digitali, spesso difficili da decifrare.

Gli adolescenti vivono immersi in un vortice di emozioni, dubbi e desideri contrastanti. C’è chi cerca disperatamente l’approvazione degli altri, chi si rifugia nel silenzio, chi sfida le regole per sentirsi vivo. Tutti, però, hanno in comune la stessa esigenza: essere riconosciuti.
È un passaggio fondamentale nella costruzione dell’identità. I ragazzi hanno bisogno di sapere che valgono, che qualcuno li vede davvero per quello che sono, senza pretendere che siano già “giusti”, già pronti, già adulti. Distaccandosi gradualmente dalla famiglia per costruire un proprio posto nel mondo, attraverso il rapporto con i coetanei, il riconoscimento oggi passa anche, e spesso, dai social, dove il “mi piace” diventa una conferma del sé. . Essere riconosciuti (oggi anche sui social) diventa una forma di validazione personale.

Secondo Erikson, lo sviluppo dell’identità è proprio il compito centrale di questa fase. Quando i ragazzi non trovano ascolto, contenimento, guida… possono cercare altre vie: relazioni sbagliate, comportamenti a rischio, oppure il silenzio, che spesso nasconde un dolore profondo.

Genitori assenti, rigidi o fragili: le tre facce della crisi

La serie dipinge un panorama di adulti in difficoltà: insegnanti autoritari incapaci di ascoltare, madri fragili e disorientati, non in grado di sintonizzarsi con il mondo interiore dei figli, padri assenti perché troppo presi da sé stessi o semplicemente smarriti. Il risultato è spesso lo stesso: ragazzi che si sentono soli, invisibili o abbandonati emotivamente.

La psicologia dell’attaccamento ci ricorda che l’adolescente ha ancora bisogno di una “base sicura” (Bowlby): una figura adulta che lasci esplorare, ma che sia pronta ad accogliere, ascoltare, esserci. Uno dei punti più evidenti della serie è il fallimento della comunicazione tra genitori e figli. Quante volte nelle famiglie i dialoghi si trasformano in monologhi? Porte chiuse, lunghi silenzi, parole che non arrivano. Eppure è proprio lì che si può fare la differenza: nella qualità dell’ascolto, nel non giudicare, nel fare domande vere. Il problema non è solo “cosa dicono” gli adolescenti, ma “perché a un certo punto smettono di parlare”.

La serie evidenzia come la difficoltà di comunicazione tra Jamie e i suoi genitori contribuisca al suo disagio. L’incapacità di riconoscere e affrontare i segnali di allarme dei genitori sottolinea l’importanza di una comunicazione aperta e attenta all’interno della famiglia. La comunicazione empatica – fatta di ascolto attivo, domande autentiche e assenza di giudizio – è una competenza che i genitori possono (e devono) coltivare. ascoltare, però, non significa solo fare domande. Significa creare uno spazio sicuro in cui un adolescente possa sentirsi visto, anche se non sa ancora come raccontarsi. Significa accettare la complessità senza volerla semplificare subito e restare, se serve, anche nel disagio.

In Adolescence, i social media non sono solo uno sfondo, ma un vero e proprio protagonista silenzioso. Chat segrete, profili fake, esposizione pubblica di vissuti privati: tutto passa da lì. È il luogo in cui si costruisce la reputazione, si cercano approvazione e si vivono, spesso in modo distorto, le emozioni.

Il problema? I genitori spesso non conoscono quel linguaggio né quel mondo. Il divario digitale non è solo tecnologico, ma culturale. Molti adulti si sentono esclusi da ciò che accade “dietro lo schermo”, e rinunciano a capirlo. Eppure, proprio lì si giocano molte delle sfide emotive e relazionali dei ragazzi.

Per colmare questa distanza, non servono competenze tecniche, ma curiosità e apertura: chiedere, ascoltare, non giudicare. E magari accettare che, in certi casi, siano proprio i figli a insegnare qualcosa ai genitori.

Attraverso la storia di Jamie, un tredicenne accusato dell’omicidio della compagna di classe Katie, la serie mette in luce come la radicalizzazione online possa influenzare negativamente gli adolescenti più vulnerabili, alimentando sentimenti di isolamento e ostilità, spostando la colpa della propria sofferenza verso l’esterno. Il protagonista infatti sperimenta una profonda solitudine e una ricerca di identità; la mancanza di connessioni significative con gli adulti lo rende più suscettibile a ideologie dannose che tuttavia offrono un senso di appartenenza.

In sintesi, Adolescence offre uno sguardo approfondito sulle molteplici influenze psicologiche e sociali che possono spingere un adolescente verso comportamenti estremi, sottolineando l’importanza di un ambiente familiare supportivo e di una vigilanza attenta alle influenze esterne, specialmente nel contesto digitale.

Riconoscere il dolore di un figlio richiede attenzione, ma anche coraggio: il coraggio di farsi delle domande, di chiedere aiuto e di accettare che, a volte, non possiamo bastare da soli.
L’adolescente non ha bisogno di genitori perfetti, ma autentici. Ha bisogno di confini, ma anche di libertà; di guida, ma anche di fiducia. Di adulti che non si arrendano alla distanza, ma che restino presenti, anche quando tutto sembra respingerli.

Perché, in fondo, ogni adolescente che si perde, sta solo cercando qualcuno che gli mostri la strada per ritrovarsi.

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